Vito tra sé
L’entusiasmo infantile, questo entusiasmo infantile del dire. Come se ti facessero domande, e tu devi rispondere. Ti figuri un interrogatorio, anche un’inquisizione. L’inquisizione è affascinante. Chi storce la bocca, chi? Chi poi legge romanzi, racconti, e guarda film nei quali il fatto accadde. Ci capiamo o non ci capiamo? Guerre, omicidi, assassinii, nefandezze, torture, misfatti, amori e tormenti accaddero perché spettatori accomodati potessero e possano rimasticarli coi loro occhi azzannanti, e ascoltatori con le orecchie fiorite come dalie carnivore afferrare urla al volo, e aspiranti con cannucce succhiare la paura altrui. Con entusiasmo infantile vorrei dire bugie. È tutto lì, tutto lì, in quel pezzo di tempo o di strada: hai commesso un fatto, hai creato uno scompiglio, anche piccolo (non è mai piccolo), le cose si sanno, stai tornando e, una volta arrivato, devi arrivare anche al punto, devi dire il come e il perché; oppure qualcuno si avvicina, si sta avvicinando, e vuole sapere. Come andarono le cose? Le cose si sanno, la domanda è come andarono. Meraviglioso è quello che succede nella testa, devi organizzare la fandonia, quasi ti aggrappi a lembi che sfuggono, cosa sono?, cos’è questo velo che scivola?, la tunica di una dea?, sì, di una dea, ci credi, credi che la dea esista e ti stia sfiorando, o dea, dammi uno spunto, un capezzolo in bocca, che io possa spanderlo per intontire chi mi ascolta. O mio entusiasmo infantile di dire bugie, non mi abbandonare. Vogliono sapere, vogliono sapere come il fatto accadde. Come? Hanno detto ‘come’? Come, come, l’avverbio più micidiale della storia del dire, un cecchino. Come? Basta un come e tutta la faccenda è come tutta un’altra faccenda, con belle inclusioni di faccende tutt’altre ancora. Hai sotto tiro le storie. Ah!, la cosa diventa minerale, policristallina, faccio cristalli che sono una mistura di molti cristalli, faccio rocce: magmatiche, sciolte sciolte e fuse dai bollori della fantasia; sedentarie, quando, posato come uno spiedo sulle forche, infilzo fatti, persone, afflati e carnaggi, e giro e giro e rigiro la cosa; metamorfiche: e qui che dire?, basta metamorfico, l’aggettivo davanti al quale le forme cambiano da sole in altre forme, perché non aspettano altro, felici di fare tutte le belle figure, tutte. Ecco, le storie non aspettano altro che d’essere altre storie. Chi storce la bocca? Storce la bocca chi dice la verità para para? Ma chi dice la verità non è che un personaggio che parla a pappagallo e a pappardella. Tutti i miei personaggi infilzati dicono la verità, vanno a copione, esatti, precisi, tutto è scritto. Mi si dice: ma nella realtà. E cosa credi che sia la realtà? È il momento in cui l’universo, interrogato, si organizza e, con entusiasmo infantile, architetta la Storia, che avverrebbe addirittura su un granello di terra, se mai si può, chiamato Terra, se è mai possibile, e addirittura la illustra, la storia, su quel granello, come chi disegna sui chicchi di riso.
(Nota per me: il sostantivo entusiasmo non usarlo più in nessun’altra accezione se non come sinonimo di imbecillità; ma siccome sai che i sinonimi non esistono — dico sempre a me — sappiti regolare con gli entusiasti).