Tutte le forme
Tutte le forme e gli elementi architettonici
noi li conteniamo, anche le strutture portanti
e le portate, anche, per dire, pilastri e piattabande,
archi, pennacchi e anche il cucchiaio
e tutte le posate, e l'arco rampante che,
appunto, mangia in testa al contrafforte...
E non c'è nessuna analogia tra le forme...
Per esempio, una sala da ballo
non sta in un polmone o nello stomaco
dove sarebbe facile collocarla,
dato un soffitto e dato un pavimento...
È ancora più facile, più d'ogni somiglianza
e analogia: sta dove le va di stare, la sala;
è di cubatura variabile, di volubile ampiezza,
e si espande e contrae come e quando le pare...
Abbiamo in noi le scale, che finalmente
non è detto vadano verso l'alto
o dall'alto discendano o siano dritte dritte
o a tortiglioni, no: gli scalini sono scalini
anche in un mazzo, in un fascio di fibre,
in una bolla... Così le strade, i parapetti,
i ponti: sono plasma, sono ossa, a seconda...
E i capelli non sono piantagioni
né rigogliose né appena rasate,
né falciate né annientate dal destino
o dai parrucchieri del paesaggio…
potrebbero, niente è escluso… potrebbero, le chiome,
essere miniere sprofondate, o anche no,
e, più che l'onde, il fondo dei mari...
Le nostre camere, quelle nelle quali abbiamo dormito...
La camera nella quale dormiamo, la nostra camera,
come una pallina da ping pong su uno zampillo
sta come una bolla titubante su un liquido organico,
sgorgante, forse… Le architetture noi le conteniamo…
All'aperto assumono un aspetto
che è un disguido, ma all'interno,
o appena appena a fior di pelle,
hanno una forma e anche un movimento
difficile da dire e da disegnare, anzi impossibile,
così viviamo in mezzo a tentativi:
case, chiese, stazioni, colonnati, gallerie,
eccetera, che sono presunzioni,
il frutto di un penoso squartamento…
le arterie percorse da globuli a motore,
non solo rossi e bianchi ma di colori vari,
e su tutti, dominanti, i metallizzati… le arterie,
aperte, salvo i sottopassi, spianate al suolo
dal traffico continuo su di esse: insomma
sono arterie di carcasse...
Già è tanto che una cupola,
grazie alla nostra buona volontà,
grazie alla nostra struggente applicazione,
già è tanto che, grazie alla nostra passione
(un giorno anche io l'ho vista, viva, volteggiare,
inguainata in un corrimano che saliva,
l'ho vista, la passione, da un androne,
che saliva su su a spirale, e si sarebbe
sguainata, forse, lassù sulle fontane,
come una picciona a fare il bagno,
anzi una lavandaia che negli anni cinquanta
lavava i panni di tutto il caseggiato
e poi tutta se stessa,
col sapone di Marsiglia per i panni, bianco,
oppure giallo, con sopra scritto "Sole",
oppure in piena estate si immergeva
tutta nuda nei cassoni dell'acqua da bere,
inventando le prime piscine sopra i tetti…
architetture)…
Già è tanto che una cupola
(non l'ho dimenticata)
somigli in qualche modo
a un nostro sputo,
elementare, misto al semolino...
o alle stelline per l'affresco interno...
E ancora non sapevamo nemmeno parlare...
Infatti non dovremmo sempre cercare le parole.