Quando canto creo una nebbia, anche colorata,
ma nemmeno nebbia: polveri di tanti colori
che si muovono come mandrie, come cortei,
come squadre di rugby, tante in campo, tutte
assieme, anche in mischia, come processioni
dorate, argentate e piene di candele,
come certe uscite dalle fabbriche,
come regate di velieri alla partenza, come andare
ancora a scuola coi fiocchi e coi grembiuli,
come i peperoni verdi fritti, come le alici,
come i quadri di Rothko, ecco, che sono un paravento,
e io sto dietro tutto questo separé,
sul bordo alto del quale appaiono calze volanti
che lì si posano, e gli indumenti intimi
di una vita in carne e tendini che viene
a spassarsela quell’oretta, oretta e mezza,
con me, e tutto questo non si vede, nemmeno la nebbia
si vede (come ha stabilito per sempre Totò),
io la vedo, come quando si vedono con chiarezza le cose,
vedo queste polveri, che sono profumate come le tigri.
Il pubblico, addomesticato col frustino delle canzoncine,
salta nel cerchio e sostiene in equilibrio una palla sul naso.
Quando canto creo una nebbia, anche colorata,
ma nemmeno nebbia: polveri di tanti colori
che si muovono come mandrie, come cortei,
come squadre di rugby, tante in campo, tutte
assieme, anche in mischia, come processioni
dorate, argentate e piene di candele,
come certe uscite dalle fabbriche,
come regate di velieri alla partenza, come andare
ancora a scuola coi fiocchi e coi grembiuli,
come i peperoni verdi fritti, come le alici,
come i quadri di Rothko, ecco, che sono un paravento,
e io sto dietro tutto questo separé diversivo,
sul bordo alto del quale appaiono calze volanti
che lì si posano, e gli indumenti intimi
di una vita in carne e tendini che viene
a spassarsela quell’oretta, oretta e mezza,
con me, e tutto questo non si vede, nemmeno la nebbia
si vede (come ha stabilito per sempre Totò),
io la vedo, come quando si vedono con chiarezza le cose,
vedo queste polveri, che sono profumate come le tigri.
Il pubblico, addomesticato col frustino delle canzoncine,
salta nel cerchio e sostiene in equilibrio una palla sul naso.
E ci lascia in pace, una pace piena di fervore, molto mossa.
ma nemmeno nebbia: polveri di tanti colori
che si muovono come mandrie, come cortei,
come squadre di rugby, tante in campo, tutte
assieme, anche in mischia, come processioni
dorate, argentate e piene di candele,
come certe uscite dalle fabbriche,
come regate di velieri alla partenza, come andare
ancora a scuola coi fiocchi e coi grembiuli,
come i peperoni verdi fritti, come le alici,
come i quadri di Rothko, ecco, che sono un paravento,
e io sto dietro tutto questo separé,
sul bordo alto del quale appaiono calze volanti
che lì si posano, e gli indumenti intimi
di una vita in carne e tendini che viene
a spassarsela quell’oretta, oretta e mezza,
con me, e tutto questo non si vede, nemmeno la nebbia
si vede (come ha stabilito per sempre Totò),
io la vedo, come quando si vedono con chiarezza le cose,
vedo queste polveri, che sono profumate come le tigri.
Il pubblico, addomesticato col frustino delle canzoncine,
salta nel cerchio e sostiene in equilibrio una palla sul naso.
E ci lascia in pace, una pace intensa e piena di fervore.