Mi è piaciuto da subito baciarti,
da subito ossia dall’adolescenza
quando i baci facevano luce
negli occhi chiusi
perché avveniva appena
poco dopo il gioco
della mosca cieca
e del nascondino,
anzi tutto avvenne proprio
in mezzo al gioco
e non ricordo di chi fu la mano,
se la tua o la mia,
che ci prese e ci tirò
dentro un armadio
e, intorno, tutto il mondo scricchiolava
Ma poi perfezionammo
come i viaggiatori senza meta che vanno
nei romanzi, e andammo
spesso, di nascosto, in uno scantinato,
nelle tenebre ma anche
dentro l’ombre fresche
dei lavatoi sulle terrazze
E, il giorno dopo,
andando a scuola, la mano sulla bocca
sopra un sorriso ambiguo
ovvero doppio, solo di noi due,
ci dicevamo: anch’io,
lo stesso male,
ché ci bruciava il frenulo linguale
Da allora
chi ci cerca non ci trova
Da subito mi è piaciuto,
dal primo momento essendo,
tutti gli altri momenti, secondari
E mi è piaciuto lì, dove eravamo,
segreti, soli in due, spariti,
fuori dal mondo, ignoti
Poi non ci siamo più feriti
sotto la lingua, non abbiamo
più tremato, altri momenti
hanno prevalso, siamo stati
numerosi, abbiamo partecipato
a cene affollate, non abbiamo
spaccato i piatti in testa a tutti,
togliendoceli di torno
Perché? Lo abbiamo fatto?
Sì, lo abbiamo fatto
Sennò cos’erano quei baci,
quella luce, quel bagliore
nucleare sopra il mondo?
Sì, mangiavamo poco
e un po’ distratti,
aspettando i nostri tempi
sottratti al gioco,
giocati in altro modo
con i baci, avendo le due nostre
bocche da sfamare
(Che cosa c’è di pronto?
Il desiderio
Tu l’avevi preparato
E l’avevo
preparato anch’io)
Lo faremmo ancora? È rimasta
questa domanda, questo bruciore
Lo faremmo, sì? Forse lo faremmo
Ma il tempo del verbo è dubbioso,
non sembra convinto, questo tempo
che pone condizioni di resa, a noi
che davvero sterminammo il mondo
E ci fa felici ancora
che da allora
chi ci cerca non ci trova
Sì, adesso mangio anch’io
ma non ho perso il piglio
Infatti, sì, prendo, prendo
(Sono nella cucina del locale, i piatti mi passano sotto gli occhi, vanno in sala come i nani di Biancaneve al lavoro in miniera, sono paffuti, pieni di salute, torneranno stremati, sbafati e sbaffati;
Mi è piaciuto da subito baciarti,
da subito ossia dall’adolescenza
quando i baci facevano luce
negli occhi chiusi
perché avveniva appena
poco dopo il gioco
della mosca cieca
e del nascondino,
anzi tutto avvenne proprio
in mezzo al gioco
Non ricordiamo di chi fu la mano,
se la tua o la mia,
che ci prese e ci tirò
dentro un armadio
e, intorno, tutto il mondo scricchiolava
Ma poi perfezionammo
come i viaggiatori senza meta che vanno
nei romanzi, e andammo
spesso, di nascosto, in uno scantinato,
nelle tenebre, ma anche
dentro l’ombre fresche
dei lavatoi sulle terrazze
E, il giorno dopo,
andando a scuola, la mano sulla bocca
sopra un sorriso ambiguo
ovvero doppio, solo di noi due,
ci dicevamo: anch’io,
lo stesso male,
ché ci bruciava il frenulo linguale
Da allora
chi ci cerca non ci trova
Da subito mi è piaciuto,
dal primo momento, essendo
tutti gli altri momenti secondari
E mi è piaciuto lì, dove eravamo,
segreti, soli in due, spariti,
fuori dal mondo, ignoti
Poi non ci siamo più feriti
sotto la lingua, non abbiamo
più tremato, altri momenti
hanno prevalso, siamo stati
numerosi, abbiamo partecipato
a cene affollate, non abbiamo
spaccato i piatti in testa a tutti,
togliendoceli di torno
Perché? Lo abbiamo fatto?
Sì, lo abbiamo fatto
Sennò cos’erano quei baci,
quella luce, quel bagliore
nucleare sopra il mondo?
Sì, mangiavamo poco
e un po’ distratti,
aspettando i nostri tempi
sottratti al gioco,
giocati in altro modo
con i baci, avendo le due nostre
bocche da sfamare
Che cosa c’è di pronto?
Il desiderio
Tu l’avevi preparato
E l’avevo
preparato anch’io
Lo faremmo ancora? È rimasta
questa domanda, questo bruciore
Lo faremmo, sì? Forse lo faremmo
Ma il tempo del verbo è dubbioso,
non sembra convinto, questo tempo
che pone condizioni di resa, a noi
che davvero sterminammo il mondo
E ci fa felici ancora
che da allora
chi ci cerca non ci trova
Sì, adesso mangio un poco
E non ho perso il piglio
Infatti, sì, prendo, prendo
(Sono nella cucina del locale, i piatti mi passano sotto gli occhi, vanno in sala, ai tavoli, come i nani di Biancaneve al lavoro in miniera, sono paffuti, pieni di salute, torneranno stremati, sbafati e sbaffati. Con due dita, dai floridi piatti che vanno, rubo, prendo un fagiolino, poi un gambero, una cosa che nemmeno so cos’è, un fiore di zucchina, un asparago, una zampetta d’astice, un cavoletto, un bocconcino di carne in umido, un’alice fritta. Succhio una ditata di salsa rosa, poi una di salsa verde cupo e una di salsa verde chiaro, e una di pappetta bruna; poi ficco il dito in una panna, tiro su un ricciolo e lascio lo scavo di una bell’onda naturale con la cresta molto ornamentale, poi mi passo anche la lingua sulle labbra; mi specchio sul concavo e sul convesso di un cucchiaio che m’è rimasto nell’altra mano, pulito, perché non vado tanto appresso alle minestre. Passa, tutto passa, sopra questi piatti tutto passa, passa il tempo cucinato)
con due dita, dai floridi piatti che vanno, rubo, prendo un fagiolino, poi un gambero, una cosa che nemmeno so cos’è, un fiore di zucchina, un asparago, una zampetta d’astice, un cavoletto, un bocconcino di carne in umido, un’alice fritta; succhio una ditata di salsa rosa, poi una di salsa verde cupo e una di salsa verde chiaro, e una di pappetta bruna; poi ficco il dito in una panna, tiro su un ricciolo e lascio lo scavo di una bell’onda naturale con la cresta molto ornamentale, poi mi passo anche la lingua sulle labbra; mi specchio sul concavo e sul convesso di un cucchiaio che m’è rimasto nell’altra mano, pulito, perché non vado tanto appresso alle minestre, passa, tutto passa, sopra questi piatti tutto passa, passa il tempo cucinato)Mi è piaciuto da subito baciarti,
da subito ossia dall’adolescenza
quando i baci facevano luce
negli occhi chiusi
perché avveniva appena
poco dopo il gioco
della mosca cieca
e del nascondino,
anzi tutto avvenne proprio
in mezzo al gioco
e non ricordo di chi fu la mano,
se la tua o la mia,
che ci prese e ci tirò
dentro un armadio
e, intorno, tutto il mondo scricchiolava
Ma poi perfezionammo
come i viaggiatori senza meta che vanno
nei romanzi, e andammo
spesso, di nascosto, in uno scantinato,
nelle tenebre ma anche
dentro l’ombre fresche
dei lavatoi sulle terrazze
E, il giorno dopo,
andando a scuola, la mano sulla bocca
sopra un sorriso ambiguo
ovvero doppio, solo di noi due,
ci dicevamo: anch’io,
lo stesso male,
ché ci bruciava il frenulo linguale
Da allora
chi ci cerca non ci trova
Da subito mi è piaciuto,
dal primo momento essendo,
tutti gli altri momenti, secondari
E mi è piaciuto lì, dove eravamo,
segreti, soli in due, spariti,
fuori dal mondo, ignoti
Poi non ci siamo più feriti
sotto la lingua, non abbiamo
più tremato, altri momenti
hanno prevalso, siamo stati
numerosi, abbiamo partecipato
a cene affollate, non abbiamo
spaccato i piatti in testa a tutti,
togliendoceli di torno
Perché? Lo abbiamo fatto?
Sì, lo abbiamo fatto
Sennò cos’erano quei baci,
quella luce, quel bagliore
nucleare sopra il mondo?
Sì, mangiavamo poco
e un po’ distratti,
aspettando i nostri tempi
sottratti al gioco,
giocati in altro modo
con i baci, avendo le due nostre
bocche da sfamare
(Che cosa c’è di pronto?
Il desiderio
Tu l’avevi preparato
E l’avevo
preparato anch’io)
Lo faremmo ancora? È rimasta
questa domanda, questo bruciore
Lo faremmo, sì? Forse lo faremmo
Ma il tempo del verbo è dubbioso,
non sembra convinto, questo tempo
che pone condizioni di resa, a noi
che davvero sterminammo il mondo
E ci fa felici ancora
che da allora
chi ci cerca non ci trova
Sì, adesso mangio anch’io
ma non ho perso il piglio
Infatti, sì, prendo, prendo
(Sono nella cucina del locale, i piatti mi passano sotto gli occhi, vanno in sala come i nani di Biancaneve al lavoro in miniera, sono paffuti, pieni di salute, torneranno stremati, sbafati e sbaffati;
con due dita, dai floridi piatti che vanno, rubo, prendo un fagiolino, poi un gambero, una cosa che nemmeno so cos’è, un fiore di zucchina, un asparago, una zampetta d’astice, un cavoletto, un bocconcino di carne in umido, un’alice fritta; succhio una ditata di salsa rosa, poi una di salsa verde cupo e una di salsa verde chiaro, e una di pappetta bruna; poi ficco il dito in una panna, tiro su un ricciolo e lascio lo scavo di una bell’onda naturale con la cresta molto ornamentale, poi mi passo anche la lingua sulle labbra; mi specchio sul concavo e sul convesso di un cucchiaio che m’è rimasto nell’altra mano, pulito, perché non vado tanto appresso alle minestre, passa, tutto passa, sopra questi piatti tutto passa, passa il tempo cucinato)