30.05.2024 11:23
Mi è parso sempre assai strano che ci si applichi a ascoltar canzoni e che delle canzoni addirittura si parli.
Le canzoni sono legate al vizio dozzinale, a irriferibili manie, a oscenità adolescenziali umide e oscure, a sconvenienze dilettantesche, a pessimi gusti melmosi e appiccicaticci, a vergognosi ottimismi, a tutto quanto rende tollerabile una viscida solitudine astiosa, insomma cose assai segrete e pungenti, inflitte alle carni dai cilici dei frequenti ascolti.
Non sembrerebbe, infatti no, non sembra, perché il pubblico è omertoso e protettore, fa massa e barriera intorno al singolo caso, e ognuno è singolo caso. Mi esprimo al maschile perché il fenomeno è esclusivamente maschile ossia scarsamente sessuato.
Le canzoni in verità erano limpide fonti, fresche e fluenti, di dissetante guadagno.
Scriverle bastava, intendo i testi, non c’era bisogno, poi, di ascoltarle. Non devi ascoltare il monotono corso sonoro del fiume se conosci il gorgoglìo della sorgente, quel gradevole suono di rinfrescanti monetine d’argento in caduta nelle tue mani a coppa.