La platea è piena
“La platea è piena di storie, storie
grillettate, sfrigolanti, bulicanti...
Quando il pubblico è tutto uscito
faccio un giro in quel buon odore
d’acqua tiepida nella quale sta
lessando una cipolla: l'anima
(una sola è l’anima, per tutti,
l’anima dell’umanità… solo
per questo è possibile l’altro mondo:
perché entra in una scatola da scarpe,
anzi in una scatolina scattante
che conteneva un anello, un laccettino...
quando resta soltanto l’ovatta,
che per l’anima è tanto accogliente...)
È il momento in cui il teatro
è avventuroso: non soltanto
praterie e montagne o mari aperti,
ma anche farnetichìo tranquillo
nella stanza tranquilla con un camino
tranquillo e bracidante, insomma quello
che più somiglia a una pipa d'oppio...
Dal lampadario cola una goccia oleosa,
che lubrifica le rotelle del cervello,
rende scivoloso l'ingranaggio,
così il pensiero scivola sopra
la chiazza pazza e fa la capriola…
E l'anima non basta, non basta la cipolla
quando entri nel giro dell'acrobazia,
no, non basta, devi aggiungere qualcosa,
e la devi sradicare da te spietatamente,
devi commettere il crimine del minestrone
devi andare oltre la cipolla, devi essere generoso,
devi gettare in te, nel tuo bollore una carota,
una patata, un sedano… o, nella tua bell'acqua,
per colmo d'azzardo, addirittura un dado…
da brodo, che si dissolve, evanescente
come l’anima dal corpo… Mi dico
questo ma non mi sto a sentire... Giro
tra le poltrone vuote, mi fermo,
guardo il palco e penso: con che
coraggio... Con che coraggio che?
Boh... è una frase... che va detta qui...”
Così Vito Taburno, solo solo, cantò.