La Coda
“Raggiungi un livello di raffinatezza tale per cui nulla ti potrà piacere. A quel punto saprai cosa è commerciale e cosa no. Da quel momento in poi, quello che sai fare commercialo. Come? Lessato: la cosmesi del sangue, un fondotinta compatto dal rosa pesca al caramello, patina dolce e velluto. Moltiplica in copie, a tocchetti, per esempio, di cuore, fegato, polmoni, rognoni, coglioni. Servi in bei cartocci aperti, e godi nel vedere l’appetito all’opera, non farti pagare a musetti ma a code dritte dritte per il piacere, come biglietti in mano a spettatori, code mostrate alla maschera, la tua migliore alleata, che le guarda e dice: puoi passare. Sapessi con quanta fantasia la gente manifesta la coda. Nella vita l’ho vista tante volte. Che? La coda della gente, dritta, ammosciata, che scodinzola, che trema, timida, gonfia, non proprio la coda, capiscimi, ma, insomma, certe uscite, certi modi, certe facce che però erano la coda, t’è mai capitato?, a me tante volte. Per esempio, la solidarietà, è un fatto di coda, a tanti si arriccia, la coda, o pare una stecca da biliardo, a certi scivola, cola, hai mai visto una coda che cola? Io sì, oppure al momento del conto, e delle rese dei conti in generale, e sono in due, e si fanno avanti arretrando, due moti in un sol passo, nell’uno e nell’altro, e viene fuori la coda a tortiglioni, una coda tentacolo, che strangola il braccio, il polso della mano nella tasca. Cosa vedi tu? Quand’è così, che vedi? Io: la coda, due code. Tu no? La coda è coscienza esterna, lo sai, sì? Da quando? Da quando le vedi. Le vedi? Sono coscienza esterna, e ognuno ha la sua coda. Lavorati le code. Allisciale, acciàccale, soavi o col pungiglione, vedi tu, son code.”
Me lo ha detto una miliardaria solitaria, che fa la gattara di notte per non perdere il contatto con una umanità (la sua) felina (dei mici di Roma). Ha una stola di pelo attorno al collo. È la sua coda a uso sciarpa? Che ne so. Può essere. O no? Ha i capelli soriani, tigrati, ocra e ruggine. Bella tipa.