Estate, ora (ma anni fa)
Seduto al bar
come al caffè i poeti…
Anzi,
seduto al caffè
come i poeti al bar…
No, seduto al bar tra i generici
del cinema soprattutto western a Centocelle
come al Caffè Rosati i poeti in Piazza
del Popolo, Roma Prati
…
Ecco che per fare lo spiritoso
ho dimenticato cosa
volevo dire
…
Cosa volevo dire?
A chi lo chiedo cosa?
Adesso che ci penso
(perché ci penso adesso):
a chi si chiede quello che si scrive?
Chi te lo suggerisce o te lo detta?
No, perché non vorrei davvero credere
che venga da me. Sarebbe impressionante
se tutte quelle lente moscerie
a parole fossero parole mie
(intendo in generale, parlando
a nome dell’umanità che scrive).
L’estate è piena di cosce.
E sono fatti miei queste lussurie.
E i visi? Voglio parlare dei visi?
Non posso, nessuno può.
La descrizione di un viso è già bruttezza,
uno sconcio di parole sopra i visi
che sono bellissimi così, senza parole
sotto gli occhi e il naso a capo,
e una nota in calce che è la bocca,
e l’orecchio che è un’orecchia fatta alla pagina.
Io non li ho mai visti interi i visi scritti,
li ho letti come riflessi in vetri infranti,
con schegge anche saltate, carni perse.
Chi mi disturba fino a farmi, come adesso,
scrivere? Chi mi fa fare il verso?
Chi mi detta?
Chi è che mi fa questo?
Che cosa ho fatto, che cosa ho commesso?
… lei è passata…
… un esclamativo pendente dall’orecchio…
… però vero perché era un orecchino…
… d’argento, un esclamativo d’argento…
… oscillante, al contrario: nel lobo il puntino…
… è passata… l’orecchino in fin del rigo,
anzi dell’unica parola che ho pensato
e che, da dentro, fuor di me ho dettato:
Bella¡ (¡: questo è l’orecchino esclamativo)…
E con una parola che ci scrivo?
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