Discorsetto di Vito al coretto 'Malvarosa'
Ho un pensiero, uno solo,
che non si sente solo perché
sta sempre con te.
E questa frase è un gioco, un passatempo, come una matita tra le dita che la giro e rigiro e poi faccio un disegnino soprappensiero, e il pensiero che sta sotto è proprio questo: ho un pensiero, uno solo, che non si sente solo perché sta sempre con te, e questa frase è ridicola, quindi è già una canzone, e non sono offensivo perché sono elementare e ingenuo ossia con la canzone ci vivo. Voglio dire, sappiamo dove trovare il tragico, dove trovare il comico: al cinema, nei libri, a teatro. Ma il ridicolo? Il ridicolo è difficilissimo da trovare, bisogna avere il coraggio di cercarlo. E qui s’apre il discorso terribile sulla rappresentazione. Cinema, libri, teatro: rappresentano, quindi non ci interessano. A volte accade che il sentimento, ovvero l’irrappresentabile, sostituisca la credulità. Quando non crediamo (e credere è un fatto intellettuale ossia riproducibile: possiamo credere di credere), quando non crediamo, dicevo, noi siamo (che è un fatto sentimentale, irriproducibile). Siamo l’attimo, il sentimento fuori del tempo del racconto; non vediamo, per esempio lo strazio, ma siamo lo strazio. Non abbiamo bisogno di credere ovvero non siamo lettori né spettatori, siamo la pagina, siamo la scena, escluso, finalmente, il pubblico.
Perché non parlo del tragico e del comico con i quali la vita ci trafigge o delizia? Perché la vita va sempre avanti, propone il tragico e il comico e, contemporaneamente, il rimedio: il tempo, la dimenticanza, l’affievolimento, la sostituzione, il ricordo che è un unguento, la morte, che è un rimedio alla vita. Il tragico e il comico nelle opere, diciamo così, d’arte, è irrimediabile. Noi siamo irrimediabili solo ad attimi (di questo parlerò un’altra volta, e anche delle Opere come attimi, parlerò, la cui durata è tempo del pubblico e non tempo dell’Opera – ma un’altra volta ne parlerò). Insomma, il tempo breve, la breve eternità. E questo è curioso: che riusciamo a concepire l’eternità solo come espansione di un attimo, non riusciamo a concepirla come moltiplicazione all’infinito di un anno di vita o di un mese (non è un marzo infinito, l’eternità, perché un marzo non è dicembre e dicembre non è un agosto e agosto non è un marzo). L’eternità è l’espansione di un attimo ossia di un nonnulla (e per nulla non intendiamo il niente ma niente di tutto il resto, niente di residuo: nello spettacolo il nulla è la sala vuota, che è eterna). Cosa stavo dicendo? Il tempo breve, sì. La forma che più ci illude di afferrarlo, l’attimo, è la forma canzone, che dura meno dei suoi minuti, dura per frazioni, per attimi ritmici contraddittori: un levare e un battere. Ecco: la canzone è contraddizione, melodia contrariata dall’armonia, e viceversa (ognuna delle due godrebbe d'esser sola); un dire (il canto) contrariato da un fare (la musica), e viceversa. Una affermazione che smentisce se stessa. E questo è ridicolo. Se vogliamo aggiungere orgoglio: questo è coraggio, coraggio d’esser ridicoli. Ora, sulla terra, tra tutte le bestie, non è vero che la creatura umana sia l’unica che ride, ridono anche i girasoli, che sono creature, e ridono i delfini, e ridono gli alligatori. No, la creatura umana è l’unica creatura ridicola. E la canzone si assume la responsabilità e il peso di palesare questo, manifestandosi ridicola a nome dell’umanità. E poi è non credibile, la canzone, ossia è, tolto il credere. Non ha bisogno di credere a se stessa ovvero non è l’orecchio, casomai ce l’ha ma non lo è. Escludete il pubblico e capirete quello che sto dicendo. Ma il pubblico, al di là della salivosa leccata con la quale lo si inumidisce prima dell’uso, è sempre escluso (la celebreremo, la clientela, ma un’altra volta; bisogna sempre celebrare ciò di cui si parla). È solo il testimone dei nostri appuntamenti. Mentre aspetta, aspetta, eternamente aspetta che si compia il suo. Che arrivi il non si sa che a incontrare il non si sa chi. E anche questo è ridicolo, e noi cantiamo anche questo.
Insomma:
Ho un pensiero, uno solo,
che non si sente solo perché
sta sempre con te
Ho un pensiero, uno solo,
che non si sente perché
è rivolto a te, a nessun altro,
nemmeno a sé