Dico le cose
Dico le cose in maniera un po' misteriosa
perché così mi viene, così è, perché
è più facile fare vittime a colpi di mistero,
e per vittime intendo i clienti, la clientela.
La storia dei cristiani sbranati al circo
è un'invenzione. Cos'è? È un'invenzione.
In che senso? Che sbranato è il pubblico.
Lo spettacolo è pastura, serve a far pesci,
i pesci sotto, il branco a bocca aperta.
Sono sempre un cantante e scrivo,
ogni tanto canzoni e ogni tanto le canto
infilandole nei repertori, nel programma
di serata. Non è già misterioso, questo?
Cantare davanti alla clientela, di notte…
Dal mio punto di vista è un mistero…
Infatti canto e non capisco. Non so mica
quel che dico. Io di qua, loro di là,
le parole che prendono tempo, che sono
come al circo le palle, le clave, i cerchi
tenuti in aria, e la forza di gravità è rinviata,
la caduta è respinta, ritornano in aria.
Cantare un'aria è pressappoco così:
cantare un ritornare, come un ritorno a casa
quando sempre più vedi i posti familiari:
le cose al loro posto. E qual è il loro posto?
Quello che t'aspetti. È il posto nel quale le cose
t'aspettano. Il ritornello, un'attrazione che gira,
il tuo circondario. Altro che viaggi esotici.
Dovunque siamo, non vogliamo che tornare,
non vogliamo che ricordare il ritornello.
E il ritorno lo cerchiamo dovunque.
È un mistero che il ritorno lo si vada
a cercare, lo si venga a cercare, qui,
lì nei locali dove un cantante canta, qui…
e lei abitava non lontano da dove io abitavo…
cosa avevamo?, tredici, quattordici anni,
ci conoscevamo da piccoli, e un giorno scoprimmo
un modo, e scoprimmo che in quel modo
non ci conoscevamo… sono misteri...
Non voglio che ritornare perché non ho bisogno
di distrazioni. La cosa che meno mi nausea
è tornare, ritornare, ritornare a casa...
sanguinante di clientela, dovrei dire. Lo dico.
Sanguinante e infangato di clientela e di canto…