Devo angustiarmi facendo strisciare le parole in versi, metrica, accenti, misure, le rime, per scrivere con più spensieratezza in prosa, come quando, finite le equazioni massacranti della scuola, me ne scappavo a non saper che fare, a non voler sapere, e ero la preda leggera delle distrazioni, mi voltavo come una pagina a ogni soffio di vento o d’alito, e la pagina era andata, offerta all’aria che non sa leggere, come è noto. Ma io non mi rivolgo a chi sa leggere, mi rivolgo a chi sa girare le pagine, pagine con addosso una prosa che non sa né vuole sapere dove e come va a finire, quindi è veramente romanzesca, romanzesca come chi non legge ma se la spassa con gli occhi su righi di sopravvalutate parole che sono stecche di persiane, lamelle di veneziane, cannucce orizzontali, costole pronunciate e, girando pagina, vertebre. E quel che conta è la fessura tra un rigo e un altro, oltre le quali fessure… oh, oltre le quali: cicale che segano calure, rondini che strappano le sete dell’aria, piogge sulle lingue delle foglie e sulle proboscidi dell’asfalto e sulle polveri e sulle terre così ventrali che palpitano, così inguinali che…
(da "Memorie d'aria" - Confessioni per cambiare le storie)