Cantando guardavo
Cantando guardavo la clientela ai tavoli...
La canzone non mi distraeva, anzi...
Le parole del mondo si riducevano
soltanto a quelle del testo. Anche il tempo
del mondo era il tempo del brano...
Armonia e melodia: tutta un'analgesìa...
Guardavo le belle clienti accanto
a questi uomini illusi. Sì, m'è capitato
che qualcuna tornasse. Qualcuna quale?
Qualcuna amata, nel senso dei seni
nelle mie mani, di me nelle loro.
Che mai saremmo entrati in un locale
come questo nel quale io canto.
Che mai ci saremmo allontanati da noi,
che mai avremmo perso tempo
con amici, con vicini di tavolo.
L'amore è uccisione... comprendo
i riti cruenti... l'amore è uccisione
dell'agnello, del gallo, degli uomini illusi...
degli uomini che con questi sorrisi
da vittima accompagnano adesso gli amori
della mia vita (io amore della loro)...
con le quali l'amore non poteva durare
perché non era investimento sul futuro,
era tempo presente (il tempo più difficile),
non era investimento, non era incremento,
era puro annientamento del mondo,
quindi era lo zero senza virgola,
non era la ridicola percentuale con la quale
combattere l'inflazione, la fisiologica perdita
in zero virgola della zerità dell'uomo virgola illuso,
sorridente al fotografo, qui, del locale
che al costo di non so quanto annienta
in una foto l'ampliamento del suo
orizzonte, che è un tavolo tondo
da consumazione (ma quanto vorrebbe,
l'uomo, quanto, che fosse questo amore l'universo,
e lei tutte le stelle... perché l'uomo vorrebbe
ottenere tutto al costo – costo suo di lui -
di niente). Io, per intanto, guardo queste bellezze
con le quali, nel chiuso di noi due,
toccai l'amore fino al fondo perduto.
Cantando guardo, e non vedo che soccorso
della donna al mondo, della donna all'uomo,
che sorride, imbecille, nella foto.