Annisessanta del '900, estate
Annisessanta del '900, estate
La notte è tiepida. Affacciati alla balaustrata del ponte sul fiume – la ragazza e io – ci scorre sul viso l'aria rinfrescata dall'acqua. La città s'è calmata. Tra la vita notturna e la vita diurna starà quieta un paio d'ore. I cittadini sono inseguiti o stanno inseguendo, volano o precipitano, si innamorano, desiderano, ruotano nel gorgo di lavandini sturati e colmi d'angoscia trascinante, sfiorano godimenti o li raggiungono, insomma sognano, che è la maniera per gli esseri umani di vivere la vita dei fiori recisi: l'acqua ferma, chiusa e stagnante del sonno li alimenta e li gonfia, li illude. Li farebbe marcire se il riposo ornamentale durasse più di una notte. La statua dell'angelo fa venire in mente a questa ragazza un suo sogno recente, perché ora è notte e la ragazza seppure sveglia è raggiunta dall'incompresa memoria d'essere un fiore a quest'ora. Il profumo artificiale che la sua pelle emana fa le veci del sonno, infatti lo avverto ora leggero ora più intenso come il respiro di chi dorme, ora calmo ora più agitato, e anche granuloso come un russare, ogni tanto, il profumo. Mi racconta il suo sogno: l'apparizione di un angelo, vero nel sogno. Io non credo che gli angeli esistano, ma l'ascolto. Le mura rilasciano tepore come fossero grandi seni appena spogliati, così m'è sempre parso nelle notti afose d'estate, il fiume smuove folate di fresco come se l'acqua fosse piena di mani di adolescenti eccitati che, agitate, fanno vento. Sono un cantante per gli altri e non per me, ho chiuso la mia serata da poco, la ragazza era seduta a un tavolo da cinque, ha salutato tutti, immagino, perché è ancora qui, sola, sono uscito, l'ho vista, è ancora qui, fuori del locale, sotto un platano, sul marciapiede di fronte, offre il fianco, quasi com'era seduta, riconosco il profilo, la spalla, l'avambraccio, la vita, e con la faccia mi guarda, nel senso che la rivolge a me come quando cantavo; ho attraversato, l'ho raggiunta, non ho cercato nulla da dirle se non che “sopra il fiume fa più fresco", era quello che pensavo per me, che m'occorresse quel fresco: a quest'ora non mi sento che spettatore anch'io, un po', ho bisogno di guardare qualcosa che se ne vada cantando per conto suo come l'acqua. Sarà per questo, sarà perché la ragazza ha sognato l'angelo sinceramente, sarà per la sua voce tranquilla, di una limpidezza coraggiosa, come se mi lasciasse pensare a altro, a far salire, per esempio, la mia testa tra le nuvole, infatti è là che sale la mia testa, sarà per tutto questo che ascolto il suo racconto e le credo. Non solo che abbia sognato l'angelo. Credo che lei creda che l'angelo esista, credo alla sua credulità. L'ingenuità è convincente. Anche il suo angelo, forse, è ingenuo e convincente. L'angelo si fida di lei più di quanto lei si fidi dell'angelo, si fa vivo, si fida della sua credulità. Lei lo vede, lo sogna, lo guarda e basta, ci crede, non vuole dimostrare che l'incredibile esista, quindi io non devo confutare nulla, provo sollievo. È come se giurassi e nello stesso tempo mantenessi il giuramento: non negherò l'esistenza del suo angelo, mai. La sua credulità è intoccabile, lo penso, e mentre lo penso mi sembra che questo pensiero apra ali enormi e favorevoli, affidabili. Accendo una sigaretta, soffio il fumo nella stessa direzione della corrente, nell'aria spalancata sopra il fiume disteso nel suo letto. Il fiume è il Tevere, la città è Roma, il ponte è Ponte Sant'Angelo, la ragazza l'ho vista solo quella notte. Non è strano per il lavoro che faccio, capita. Ogni giorno, per me, a quest'ora della notte, è il giorno dopo, sono anche un po' stanco. Stasera canto, dopo aver cantato stasera.